Se siete amanti del rock anni ’70 e delle spinte al limite dell’impossibile, in fatto di sperimentazioni e di visioni musicali avanguardiste, allora non potete non immergervi nell’ascolto del primo album in studio del the Cinema Show Quartet, una band che, come ci lascia immaginare il nome scelto, affonda le sue radici nelle colonne sonore e, precisamente, dall’esecuzione di musiche da film, arrangiate e riproposte sempre in modo originale e coinvolgente.
Si tratta di un percorso musicale di cui facevano parte l’attuale leader e ideatore del the Cinema, ovvero Paolo Bernardi e Flavia Ostini; la scaletta, ampliatasi molto durante gli anni, prevedeva omaggi a Ennio Morricone, Nino Rota, Armando Trovajoli, Bill Conti, Stelvio Cipriani, Francis Lay, e molti altri. Un discreto spazio era riservato anche alle composizioni originali, tutto ciò è poi confluito in due produzioni discografiche: Celluloide (2012 – Sifare Publishing) e Mo’ better movies (2017). Dopo l’estate del 2018 entrano a far parte del gruppo Luca Rizzo e Riccardo Colasante e, viene ufficialmente costituito il THE CINEMA SHOW QUARTET.
Ed ecco che, tutto il cammino di ricerca sonora iniziato precedentemente, prende ora una strada diversa, più articolata, in cui l’arricchimento musicale finora acquisito, attinge da nuove fonti, dando forma ad uno stile del tutto nuovo e che prende l’ispirazione diretta dal quel rock, definito poi negli anni “progressivo” in quanto improntato ad una continua evoluzione del suono e degli strumenti non comunemente utilizzati per il genere. Una fermentazione continua e una volontà di dare una direzione alternativa al rock e a tutte le sfaccettature di uno stile che ha fatto la storia della musica e che, negli anni ’70, può definirsi relativamente” giovane”. Ma lo svecchiamento non era l’obbiettivo postosi da quella generazione di rockers che suonavano nei luoghi più disparati indossando vestiti appariscenti e intravedendo nel rock una chiave per interpretare il mondo; quello che distingueva gli appartenenti al rock progressive era appunto un’idea innovativa- e per certi versi “futuristica” -di intendere lo stile che dagli anni ’60, aveva attraversato un lungo decennio divenendo un genere di punta.
“Alla fine degli anni ‘60, all’interno della cultura rock compare un nuovo genere musicale che sarà definito “progressive”. Come era già successo nella cosiddetta musica “classica”, alcuni giovani musicisti di estrazione rock sentono il bisogno di progredire il loro linguaggio musicale. Per farlo, attingono al folk, al jazz, alla musica classica e alle avanguardie musicali[….].Il risultato è stato la nascita di una musica che si allontana decisamente dal rock ‘n’ roll delle origini e dal beat degli anni ‘60. Non più musica come svago, ma composizioni articolate che richiedono una particolare attenzione da parte dell’ascoltatore….”
Ecco la novità, un nuovo modo non solo di interpretare e di comporre, ma soprattutto di ascoltare, di recepire la musica. Le parole del Maestro Baldi, presente nel disco con la sua ensemble di musicisti, i PER UN PUGNO DI FLAUTI che compaiono con un paio di arrangiamenti, spiegano bene il concetta e la peculiarità che interesserà tutta una generazione e che influenzerà poi altri generi, come l’alternative rock degli anni zero, ma che ha la sua origine qui: nel rock progressive e di cui ora il The cinema decide di farsi portavoce in Italia, come ad un tempo fecero i New Trolls con il loro Concerto Grosso. Non a caso è questo uno dei tanti tributi agli artisti appartenenti a quella stagione del rock progressivo e che vede in prima linea i Genesis, presenti nel disco di debutto del quartetto in modo nuovo e mai pedissequamente fedele all’originale con Firth of fifith, The cinema show, Horizons, e In the cage. Un disco il cui titolo “Fugue to Heaven” richiama fortemente quell’ideale di vera e propria fuga dalle circostanze, dalla mondanità del rock mainstream, per rifugiarsi in luogo dove il suono ricorda proprio quello del cielo e che The great gig in the sky, rivisitata qui dal quartetto, in una veste del tutto diversa, grazie ai suoni ricercati presenti già nella versione dei Pink Floyd, che ricalcano con un eco emblematico, riportandoci ad un’atmosfera intrigante, ma allo stesso tempo eterea. Ma non solo il contornare di un dipinto già esposto, oltre alle tante rivisitazioni di pezzi che hanno tracciato una strada percorsa poi da tanti musicisti, la band di Paolo Bernardi, ha trovato anche altre vie per disegnare il proprio percorso e un cammino di ricerca sonora che è solo all’inizio e quindi, ecco anche composizioni originali, espressamente scritte per questa formazione e per il particolare sound che il quartetto sta appuntando: la firma di un’idea divenuta poi certezza di volersi esprimere in modo diretto, con un linguaggio musicale che rifugge dalla stasi per correre verso l’infinito.
Sonia Bellin